Intervista di Emanuela Del Zompo
Sono un regista e direttore della fotografia di esperienza trentennale. Ho realizzato nove lungometraggi da regista e firmato innumerevoli fotografie per il cinema e per altri media. Quando lavoro tendo ad essere razionale, freddo, metodico e “poco italiano”. In compenso non mi sento un semplice tecnico o un autore. Amo pensare a me stesso come a un poeta innamorato della vita ma anche irriverente e turbato.
Attualmente stai lavorando a? Che uscirà? Di che parla il film?
Attualmente sto finendo di seguire il montaggio del film “AncheSeLiOdio” prodotto da Bielle Re, e interpretato da Corinna Coroneo, Gabriele Silvestrini e Laura Orfanelli, un progetto artistico molto maturo e a cui tengo tanto. “AncheSeLiOdio” farà prima il suo percorso festivaliero e successivamente uscirà in sala e poi negli altri media. “AncheSeLiOdio” chiude la mia trilogia della sensazione, un trittico di film in cui c’è sempre un crimine al centro della vicenda. Questo film parla di come può cambiare la vita di ognuno di noi quando ci si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non posso dilungarmi troppo sulla trama ma voglio concederti qualche anticipazione: è un film sulle dinamiche di una famiglia disfunzionale. Un film che fa ridere e commuovere al tempo stesso. Qualcosa di davvero diverso e inedito per me. Nei miei film, lavoro spesso con gli stessi attori e ne aggiungo sempre di nuovi. Qui ho lavorato con una squadra molto affiatata e questa cosa si vede.
Che tipo di cinema fai? Oltre a Regista sei anche produttore e distributore, come sono cambiate le scelte produttive dopo l’arrivo delle piattaforme e la diminuzione del pubblico in sala?
Mi piace fare dei film che, seppur di genere, facciano riflettere chi li vede, ponendo interrogativi universali riguardo la condizione umana. Credo fermamente che il pubblico non sia stupido ma cerchi di vedere cose che lo stupiscano o, quantomeno, lo facciano pensare. Credo in un cinema che abbia “il sospetto di qualcos’altro” e non inseguo scopi particolari, né faccio analisi di mercato prima di dedicarmi a un progetto. Nonostante ciò rispetto i registi che la pensano diversamente, facendo un cinema meramente commerciale o dedicando la propria vita a realizzare prodotti per arricchirsi o perseguire solo il proprio successo personale. Per quanto riguarda la produzione, ho deciso di chiudere, credo definitivamente la mia attività di produttore (non riesco a seguire tutto e la nuova legge sul cinema non mi piace affatto) mentre per la distribuzione, credo che mi focalizzerò su titoli importanti per l’art house italiano, dando voce a registi colti dallo stile ricercato.
Hai vinto diversi premi e partecipato a festival internazionali oltre che aver lavorato oltreoceano cosa pensi che il cinema italiano possa insegnare al cinema americano e viceversa?
Il cinema italiano ha una grande tradizione di autorialità, di attenzione ai dettagli narrativi e di introspezione emotiva, elementi che spesso mancano nelle grandi produzioni americane, nonché un’innata propensione a coltivare l’arte dell’arrangiarsi. D’altra parte, il Cinema americano eccelle nella gestione dell’industria cinematografica, dei talent, nella capacità di distribuire i film su scala globale e nell’uso innovativo della tecnologia. L’incontro tra queste due visioni potrebbe portare a un cinema capace di unire qualità artistica e potenza produttiva, creando opere che siano sia profonde quanto accessibili a un vasto pubblico. Speriamo che questo accada un giorno.
Che tipo di messaggi veicola il tuo lavoro?
Non mi piace molto parlare di messaggi, perché li usa la propaganda, ma, ovviamente, se si fanno delle cose, si comunica qualcosa, dunque ci sta: il mio cinema affronta spesso tematiche provocatorie, esistenziali e sociali, attraverso l’uso di un linguaggio molto classico, che crea una distanza con lo spettatore, ma con un forte impatto visivo e narrativo. I miei film esplorano argomenti come l’alienazione, l’ingiustizia, la violenza psicologica e la fragilità umana, e cercano di mettere in discussione le convenzioni morali e tutti gli “ismi” della società contemporanea, a partire dal “perbenismo” per finire al “pressapochismo”. Attraverso uno stile freddo, crudo e realistico, cerco di veicolare messaggi che inducono alla riflessione critica, spesso lasciando lo spettatore con tante domande e poche risposte. Mi piace tenere la narrazione sospesa tra il cinema d’autore, il melodramma e il thriller psicologico, con una narrazione che può risultare scomoda, ma è a mio parere necessaria.
La cultura e la politica come influenzano la produzione cinematografica italiana?
La politica (e l’assenza di cultura) incidono sulle possibilità produttive, sia attraverso l’uso errato dei finanziamenti pubblici e degli incentivi fiscali, sia per le normative che regolano il settore. In alcuni casi, le scelte politiche possono indirizzare il tipo di storie che ricevono maggiore supporto, facendo della mera propaganda e togliendo alla popolazione la capacità di avere spirito critico, influenzando così anche la libertà espressiva e l’indipendenza dei registi. A me la politica ha sempre dato le briciole ma io non mi lamento per questo. Anzi, fosse per me, il Cinema si farebbe solo con gli investimenti privati, lo dico sempre. Non mi piace il modo in cui la politica veicola i suoi messaggi propagandistici e rende le persone insensibili o stupide. Comunque ho fatto un film di riflessione che si chiama La Danza Nera, in cui si parla di politica e si riflette su temi importanti.
Il digitale e le varie forme tecnologiche hanno influenzato il neorealismo del nostro cinema?
Il neorealismo italiano nasce in un’epoca in cui la tecnologia era limitata, ma proprio questa semplicità ha contribuito alla sua autenticità e potenza narrativa. Con l’avvento del digitale e delle nuove tecnologie, il linguaggio neorealista si è evoluto, mantenendo la sua essenza ma adattandosi ai mezzi contemporanei. Oggi, grazie alle cineprese digitali leggere e all’uso di effetti visivi minimali, è possibile raccontare storie con maggiore immediatezza e a costi in apparenza ridotti, permettendo, sempre in apparenza, una maggiore libertà espressiva. In realtà i film, in pellicola o in digitale costano sempre tantissimo: tempo, risorse e fatica.
I tuoi libri e la scrittura sono un’esigenza per raccontare cosa?
Sicuramente per parlare della condizione umana. Non so come spiegarlo ma io vedo dentro le persone e dietro le situazioni. So mettermi nei panni degli altri, anche quando i miei personaggi sono inventati. Mi sento un veicolo, di cosa non so: vedo cose e sono un uomo molto sensibile, anche se non sembra perché ho una scorza durissima. E’ l’amore che proviamo per il mondo e per gli altri che ci avvicina alla scrittura. E se ami, soffri se vedi la sofferenza. E il mondo è pieno di sofferenza e di interrogativi senza risposta. Nasciamo per morire. E’ questo forse l’unico, vero concetto assoluto che conosciamo e ne siamo spaventati.
I tuoi prossimi progetti?
Devo dedicarmi a terminare le riprese di un lungometraggio che si chiama “La Soprano Italiana”, ma devo aspettare la primavera per farlo. Poi sto seguendo la post produzione di un art house film che si chiama “La Paura dei Numeri” e che vedrà la luce prossimamente. Farò un film da direttore della fotografia e ho un progetto in sviluppo.
Cosa ti ha dato l’esperienza lavorativa maturata all’estero?
E’ stata fondamentale per la mia maturazione artistica. L’esperienza lavorativa all’estero mi ha arricchito sotto molti aspetti. Mi ha permesso di confrontarmi con realtà produttive diverse, di acquisire nuove prospettive narrative e di sviluppare una maggiore apertura mentale nel mio approccio alla regia. Inoltre, lavorare con team internazionali mi ha insegnato a gestire la diversità culturale e a trovare soluzioni creative in contesti spesso molto differenti da quelli italiani. Tutto questo ha influenzato profondamente il mio modo di raccontare storie e di dirigere un set.
Un film girato o da girare nelle Marche, quali sono i punti forza di questo territorio?
Le Marche offrono molti vantaggi a chi ci lavora. Possiede numerose strutture medievali e di grande importanza storica, pensiamo ad esempio ai teatri all’italiana o ai palazzi storici. In secondo luogo si passa, in pochi minuti di auto, dalle altezze dei monti sibillini agli abissi del mare Adriatico. Si tratta di zone molto dense di popolazione e servizi, capienti a livello ricettivo.